Rubrica: Un libro al mese


Giugno 2025
 
Fabrizio Gambini

2060. Una distopia psicoanalitica italiana
 
S. Lippi e, P. Maniglier, Sorellanze, DeriveApprodi 2024.
G. Deleuze e F. Guattari, L’anti-Edipo, Einaudi 1973.
G. Deleuze e F. Guattari, Mille Piani, Ortohotes, 2017.
G. Orwell, 1984, Feltrinelli 2021.
 
Nel 1949 George Orwell ha pubblicato un romanzo e l’ha intitolato 1984: un romanzo distopico ambientato 35 anni dopo la sua scrittura. Cosa ne sarà tra trentacinque anni di Lacan in Italia? Cosa ne sarà della psicoanalisi? Nel romanzo di Orwell, Big Brother (Grande Fratello) è il dittatore dello Stato di Oceania. Non esercita una paternità autoritaria e liberticida, piuttosto esercita il potere, sempre un po’ arbitrario, di un anonimo fratello maggiore. Io tradurrei infatti Big Brother piuttosto come il fratello grande, invece che il grande fratello. Ma è un dettaglio. La questione è che si tratta di fratria e non di paternità.
Dalla metà degli anni Trenta del secolo scorso non abbiamo fatto altro che parlare di indebolimento, evanescenza, scomparsa della funzione paterna (nota 1) eppure, quando gli psicoanalisti si nominano, fanno (o facevano?) in qualche modo riferimento al padre o, meglio, a un padre: freudiani, lacaniani, bioniani, kleiniani (si lo so era una donna), reikiani, adleriani, junghiani. È un modo della nominazione che porta con sé l’idea di Scuola, di trasmissione di un sapere. Un sapere che, per essere stato supposto a qualcuno, a Freud, a Lacan, a Klein, etc., non cessa di essere supponibile e continua piuttosto a caratterizzarsi per essere supponibile.
Un mio caro amico, col quale abbiamo una certa consuetudine di dialogo, (nota 2) esercita la professione di professore universitario e, pochi giorni fa, mi chiedeva: “Ma cosa è successo? Com’è che gli studenti hanno smesso di avere fiducia in noi?”.
Per andare subito al sodo, è che il sapere ha cessato di poter essere supposto. Non che sia scomparso come tale. Ovviamente, c’è un sapere e c’è un desiderio di sapere, ma questo sapere è depositato e, in qualche modo, è anche garantito. Il modello è Wikipedia, dove l’anonimato, l’estensione e il controllo diffuso, sono sigillo di garanzia. Si tratta di un sapere in atto, attualizzato, depositato. Pochi secondi e quel che non compare nella videata attuale comparirà nella successiva. Non si tratta dell’assenza dello sforzo che era richiesto quando alle Scuole Medie si trattava di fare una Ricerca e si doveva andare in Biblioteca a consultare la Treccani. Wikipedia non è la Treccani disponibile a casa. La Treccani non aspirava all’infinito e l’Enciclopedia non era sinonimo di attualizzazione dell’infinito. Semmai ogni Enciclopedia era prima di tutto in potenza, fallimentare, mancante rispetto alla potenza che esprimeva. Pensate all’Enciclopedia Einaudi: pubblicata in Italia dal 1977 al 1984, non si voleva completa. La selezione delle voci faceva anzi parte integrante dell’essere dell’Enciclopedia. Ciò che ne era escluso definiva l’ambito, la storicità, l’attualità del contenuto. Come per Aristotele, per l’Enciclopedia, non esisteva l’infinito attuale e il concetto di infinito era un portato della potenza, quando non coincideva semplicemente col molto grande o l’innumerevole. Oggi, l’infinito è in atto; si è attualizzato nella rete e nell’immaginario dei suoi frequentatori. Rispetto a questo un singolo individuo ha cessato di essere il luogo della supposizione di un sapere la cui componente soggettiva era parte, fondamentale, del valore attribuito a quel sapere.
Piuttosto la sua individualità, la sua parzialità, quando c’è, è limite, è impedimento e, se viene ostentata, è arroganza: è il fratello grande che dice: «Te lo dico io come fare». Il mio amico Guido, col quale continuiamo a discutere, mi dice che lui è uno dei “wikipediani” anonimi: Wikipedia, un’opera a più mani, che attraversa dinamiche squisitamente sociali, di intelligenza collettiva. Con la sua osservazione, Guido centra ancora meglio il punto: chi si rivolge a lui si rivolge al sapere che gli suppone, chi si rivolge a Wikipedia e incappa nella sua risposta si rivolge al sapere depositato e che non necessita di alcuna supposizione. Anzi, necessita di una mancanza di supposizione. La risposta è la stessa?
No. E la domanda? Ovviamente no, non è la stessa.
Dunque, nel 2060, niente più Scuole centrate su un padre morto. Piuttosto scuole centrate, organizzate attorno al potere del fratello grande, del fratello maggiore.
Silvia Lippi e Patrice Maniglier non saranno d’accordo, rivendicando le ragioni per le quali una sorellanza non è una fratellanza, ma io penso che il loro libro sia già un passo in questa direzione. Un passo che postula, dietro il fatto della caduta del patriarcato, le ragioni per la caduta del maschile e della paternità, in nome di una tutta femminilità, di una sorellanza, appunto, che supererebbe il reale della differenza sessuale.
Lippi e Maniglier fanno riferimento al pensiero delirante di Valerie Solanas e colgono nella funzione propria del delirio l’apparire della verità, un sapere inconscio in atto. Per altro, parlando di Solanas, la parola atto non è fuori luogo, essendo lei balzata all’onore delle cronache per aver sparato, nel 1968, tre colpi di rivoltella a Andy Wharol. Quella di Valerie Solanas è una vicenda sulla quale bisognerebbe ritornare. La tragicità della sua esistenza non consente facili posizioni giudicanti, ma un giudizio lo si può dare senz’altro. Non su Valerie, né sul suo atto, bensì sulla mostruosa alleanza tra la sua follia e la psichiatria americana di quegli anni: la sua schizofrenia, il suo delirio di rivendicazione femminile è
stato curato con un’isterectomia. La convessità del della follia coniugata alla concavità della cura.
In ogni caso, per Lippi e Maniglier sarebbe possibile lo sviluppo di un parlessere non segnato dalla divisione soggettiva in quanto sessuata: un parlessere donna, libera da quel difetto di fabbrica che si chiama maschile, una donna sorella e madre di altre donne. Il fallogocentrismo di cui parla Derrida è tradotto come il dominio dell’uomo sulla donna e sul creato ed è considerato il nemico da abbattere. Il concetto di sorellanza implica inoltre il mantenimento del funzionamento dell’una per una. Il manifesto concepito da Solanas rispetto al movimento SCUM è un effetto dell’una per una e non sopporta alcun livello organizzativo.
È qualcosa che abbiamo già conosciuto, ad esempio nel tentativo di Deleuze e Guattari di “portare alle estreme conseguenze” il pensiero di Lacan verso una concezione rizomatica dell’inconscio, verso la presenza di un soggetto necessariamente schizofrenico, atomico, non supponibile, né in forme individuali né in forme sociali.
Questo non è senza riferimento a una concezione del marxismo che, negli anni Settanta e Ottanta, vedeva l’oggetto dello sfruttamento come soggetto individuale e pensava “controrivoluzionario” ogni tentativo di organizzazione, ad esempio come classe o come partito, di questo soggetto. Certo io non sono un filosofo politico, ma ho l’impressione che il movimentismo extraparlamentare in Italia, fino alla deriva terroristica che ha caratterizzato quegli anni, non sia del tutto estraneo a questo pensiero. La liberazione era pensata in un modo non dissimile alla sorellanza, nell’una per una o nell’uno per uno, per il quale il personale è, necessariamente, politico. C’è, insomma, una vena di pensiero che ha traversato il secolo scorso e che emerge oggi come un fiume carsico nel tempo dell’individualismo e della Io-crazia. Per questo, se vogliamo mantenere vivo il discorso della psicoanalisi, è necessario continuare a mantenere operativa la nozione di soggetto  che, poveretto, non ha altro essere che la sua supposizione e che, quando forcluso (Verwerfung) rinnegato (Verleugnung). negato (Verneinung) o rimosso (Verdrängung) lascia comunque l’Io da solo nella sua paranoia. Tanto più solo, in quanto i meccanismi della cura psichiatrica copulano con la sua paranoia.

nota 1 Cfr. F. Gambini, «Il Nome del Padre. Una versione italiana», in Berggasse, 19, n° 12. Ottobre 2014.
nota 2 F. Gambini e G. Magnano, Il nome e il numero, Paginaotto 2023.
 

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