ALI per Formare


Il gruppo ALI per Formare organizza attività di formazione destinate a enti pubblici e privati quale spazio di riflessione, approfondimento e supervisione per operatori socio-sanitari, infermieri, educatori, medici e referenti di comunità, associazioni e strutture.
Di seguito si riportano degli esempi dei progetti realizzati più di recente.




"Basta un poco di zucchero e la pillola va giù?"
Intervento su farmaco e comunicazione, di Barbara Piazza.
 
Di quale zucchero e di quale pillola “si” parla?
Il farmaco, prima ancora che come molecola, assume nella relazione di cura un posto fondamentale in quanto significante: nella etimologia stessa della parola “farmaco” è già contenuta l’ambivalenza di cui esso è portatore come strumento di cura ma anche come potenziale veleno (pensiamo ad esempio all’attenzione con cui alcuni pazienti spiano nel “bugiardino” eventuali effetti collaterali).
La somministrazione del farmaco diventa spesso un’operazione routinaria, quando non un vero e proprio braccio di ferro, chiudendo la possibilità preziosa, che pure racchiude, di aprire per la coppia paziente-care giver lo spazio di un dire (e di un ascoltare) qualcos’altro della sofferenza che affligge il corpo malato.
Di questo dire, di questa possibilità di parola, di questo possibile uso dei significanti malattia, corpo, farmaco, dolore si occupa il corso nella prospettiva di una vera umanizzazione della cura.


"La diagnosi: sapere sull'altro o sapere con l'altro"
Intervento su parola e "destino", di Barbara Piazza.

La diagnosi (il poter fare una diagnosi) è in medicina un potente strumento per lenire la sofferenza dell’altro. La “formulazione” della diagnosi rappresenta la fine del percorso in cui medico e paziente sono uniti, ciascuno con le proprie attese, nella ricerca di una spiegazione ad un malessere. Poter “dare un nome” a ciò che ci capita, significa sia “sapere” di che si tratta ma anche, e soprattutto, poter in qualche modo rappresentare soggettivamente un evento, cioè ciò che “quella cosa/evento” significa “per noi”, nella propria vita.
Spesso dare un nome è in qualche modo cercare di “addomesticare”, rendere meno estraneo, meno alieno, meno “altro” … in questo senso la diagnosi è, comunque, portatrice di un effetto pacificatore per la persona che la attende di fronte all’angoscia provocata da una sofferenza che invade il corpo e la mente.
La diagnosi mostra bene inoltre come il corpo stesso sia “fatto” di parole: il corpo umano non può essere pensato separato dal campo del linguaggio: esso è preso nel linguaggio fin dalla nascita biologica, e il soggetto lo è ancora prima, nel discorso dell’Altro familiare e sociale. Il linguaggio è come un vestito sull’organismo biologico. Il corpo umano è l’organismo vestito dai significanti che l’Altro riserva al soggetto. Obiettivo del corso è riflettere insieme al personale sanitario su questo aspetto per non rischiare di occuparsi solo dell’organismo, trascurando il soggetto là dove egli soffre.


"Stare alla tavola dell'Altro"
Intervento su nutrimento e relazione, di Federica Romano.

"Nessun oggetto può soddisfare la pulsione. Anche se rimpinzaste la bocca-bocca che si apre nel registro della pulsione-non é del cibo che essa si soddisfa ma, come si dice, del piacere della bocca.”
(J.Lacan,
Seminario “I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi")


"The sound of silence"
Intervento su parola, silenzio e comunicazione, di Laura Delvago.

La parola non è solo un mezzo per comunicare.
La parola è soprattutto un atto capace di produrre degli effetti rispetto ai quali conserva il peso della responsabilità. Un peso derivante dallo scarto fra quello che diciamo e gli effetti che produciamo nell’altro. Proprio in ciò si colloca la negoziazione della cura, la possibilità della parola-atto del paziente e della parola “che si fa carico” di quest’ultimo, in una prospettiva umanizzante dell’esperienza di degenza/ricovero.
A volte, la parola del curante può farsi “leggera” se non riconosce a pieno e accoglie il carico di vissuti, emozioni, desideri e sofferenze del paziente. Questa leggerezza incide, ancor più in profondità, nella sofferenza dell’altro finendo per riprodursi in una risposta che può essere solo il lamento del dolore nel corpo. Si apre così la necessità di un ascolto altro, capace di cogliere, nel silenzio del paziente, quelle parole incarnate che segnano il suo corpo.


"Tra pieghe e piaghe"
Intervento sulla dimensione del corpo, di Elena Garritano.   
 
Cos’è il corpo? Strumento di relazione con la realtà, mezzo per affrontare la quotidianità, il corpo comunica intenzioni, sentimenti, stati d’animo. Pur nel contesto della moderna concezione olistica del benessere, si distinguono ancora mente e corpo, nella cultura comune, come nell’impegno della medicina.
L’umanizzazione della cura è ancora difficile da applicare perché come distinguere l’individuo dietro il corpo malato se ancora è raro riconoscere il soggetto dietro il corpo del personale medico e infermieristico?
Il corpo nudo e malato (sterile, avvizzito, disabile o menomato), torna infatti ad essere in frantumi, concentrato sulle sensazioni laceranti di un singolo organo, svuotato di personalità e indistinguibile dagli altri. Introdurre un discorso significa invece imporre una rottura: i dialoghi lasciano tracce ma occuparsi del corpo, di qualunque corpo si tratti, quello malato come quello infermieristico, e di qualunque sintomo si parli, della malattia del paziente come del disagio dei curanti, significa chiarire dubbi, s-piega-re quello che succede e si insinua nelle pieghe delle procedure specializzate con cui si cerca di curare le piaghe fisiche.

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