01/05/2020

Se gioventù sapesse


del gruppo di studio Ali per Formare

Un vecchio adagio francese recita “Se gioventù sapesse, se vecchiaia potesse…”. Resta da capire cosa.
L’istituzione delle case di riposo costituisce per la società moderna un modo complesso di affrontare temi come l’impotenza, la disabilità e la morte, all’interno dei nuovi legami sociali. Gli operatori e gli ospiti che fanno parte di queste comunità, spesso isolate rispetto ai centri abitati, sono, dunque, impegnati nel medesimo compito di comprensione e risposta condivisa, in un confronto tra generazioni e origini molto differenti. Permettere loro di fermarsi a riflettere sulle dinamiche interne può dunque costruire la risposta che una istituzione può collettivamente offrire al contesto sociale più ampio, perché non si tratta di mettere a tacere ciò che fa male o non si comprende, ma di esprimere il valore positivo di una vita in sé, non solo per ciò che è utile e utilizzabile.
L’anziano entra in “casa di riposo” ma forse non è lui che chiede riposo, forse chiede altro rispetto a chi vuole ‘operarlo’ e ‘animarlo’. Cos’è che l’anziano vorrebbe, se potesse?
Il giovane che vi lavora, tra il dovere di garantire sicurezza, efficienza e efficacia di intervento, il peso della routine e della burocrazia, il limite dei minutaggi disponibili, cosa avrebbe bisogno di sapere, se ne avesse l’opportunità?
La formazione psicoanalitica ha il dovere di offrire uno spazio di narrazione delle esperienze in struttura, con la proposta di una lettura differente al senso del lamento dell’operatore e della protesta degli ospiti, perché chi prende la parola dà voce alle dinamiche condivise di un gruppo. Troppo spesso, invece, si creano separazioni nette, ciascuno preso dalla sua routine silenziosa. Un malato di Alzheimer che urla perché non vuole farsi lavare rende gli altri ospiti e gli operatori testimoni di una situazione che smuove domande etiche: che penserebbero da fuori se sentissero? C’è un’altra possibilità tra lasciarlo stare e fargli del male, andando contro la sua volontà? Gli operatori non se ne accorgono, ma quando gli anziani fanno domande su quello che succede in struttura, in modo diretto o indiretto (con deliri e problemi), permettono loro di ascoltare il racconto personale del proprio lavoro, le motivazioni dello stare lì, nonostante le difficoltà. Si tratta di una scelta, perché se si condivide l’idea che nessuno vorrebbe mai finire in una casa di riposo da vecchio, educatori, infermieri ecc. scelgono di finirci da giovani!
E anche gli ospiti scelgono, ad esempio, di creare rapporti privilegiati con alcuni professionisti, perché possono permettersi di andare via, solo quando possono passare il testimone, cioè possono sentire che c’è un ordine delle cose, e un senso nella propria storia. Ciò significa che un anziano non è perduto o finito perché ha lasciato la propria casa, se può abitare nel pensiero di qualcuno, senza che questo significhi “fare famiglia”, idealizzazione che nuoce perché banalizza e mente.

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