01/03/2019

Ma tu, da che parte stai?


di Graciela Peña Alfaro

Recentemente sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia, in un editoriale che recava come titolo Le idee non servono per portare l’acqua al mulino di qualcuno, denunciava che ormai a tanti non sembra concepibile che qualcuno esprima un’idea, un giudizio o un opinione semplicemente perché è così che la pensa.
E no –dicono- questo non è possibile. Se qualcuno esprime un’idea è perché sta o da una parte o da un’altra. Ormai, concludeva Galli della Loggia, sono ammessi soltanto i partigiani di una causa. A tutti gli altri tocca solo tacere.
Da dove sorge una tale concezione della realtà? Qual è l’origine di una rappresentazione del mondo delle idee ingabbiata in una prospettiva speculare, dove ciò che dice l’altro non può che essere a favore o contro di qualcuno o di qualcosa?
Per orientarci, possiamo partire dalla costituzione del nostro Io, l’Io che offre a se stesso e agli altri una propria narrazione di ciò che è, di ciò che pensa, ciò a cui ambisce, ciò che non sopporta.
Ebbene, il processo della costituzione dell’Io è veramente straordinario. Il germe del nostro Io si costituisce molto presto, fra i sei e i sette mesi di età e avviene attraverso l’identificazione con la propria immagine nello specchio. Ciò, però, avviene unicamente se c’è un Altro, la madre o chi per lei, che con la sua parola, convalida quell’immagine come appartenente al suo bambino.
E’ chiaro, tuttavia, che quest’identificazione primordiale si costituisce su una linea di finzione, a partire da un’alterità alienante e da un doppio che è al contempo “Io” e “l’altro”.
Se ci pensiamo, è stupefacente, perché è vero che quell’immagine sono Io ma al contempo è fuori da me. Tanto più se pensiamo che quando avviene questo processo –processo che Lacan denomina Stadio dello specchio- il bambino non riesce ancora a parlare, a camminare, a stare dritto, ad avere una coordinazione motoria. Poiché non riesce ancora a padroneggiare il suo corpo, i suoi movimenti, possiamo ben dire che il suo è un corpo a pezzi. La sua immagine nello specchio, invece, appare completa e unitaria.
Ciò determina un crogiolo di sentimenti e affetti intensi e contrastanti. Da una parte, l’identificazione a quell’immagine per il bambino è salutare e, trovandosi unificato, l’investe con giubilo. E’ proprio qui che nasce il narcisismo, l’amore per se stessi.
Da un lato, dunque, il giubilo, l’amore per quell’immagine, un’immagine che, ergendosi come una statua, gli dà l’illusione di Essere. Poiché, però, quell’immagine sono Io ma è anche l’altro, quell’immagine suscita in me anche dei sentimenti di aggressività, di invidia, di rivalità. L’altro sarebbe colui che vuole prendere il mio posto e in quanto tale, in quanto nemico, suscita la mia ostilità, il mio rifiuto.
Per esemplificare ciò che avviene, possiamo pensare agli studi sulla percezione che hanno svolto i gestaltisti. Costoro hanno esperimentato come una stessa immagine può essere percepita in due modi completamente diversi. Fra questi esperimenti, spicca quello dell’immagine che può essere percepita o come una donna vecchia o come una donna giovane. Che si percepisca la donna vecchia oppure quella giovane dipende da quali elementi percettivi sono selezionati come figura e quali come sfondo.
Ecco, qualcosa di simile avviene con la percezione dell’altro finché si rimane impigliati in una logica speculare. Fintantoché l’altro la pensa come me, entra nel mio campo narcisistico, “è uno dei nostri”. Basta, però, che l’altro abbia l’ardire di pensare in un modo che si discosta dal mio, anche di poco, che immediatamente ricade su lui la mia ostilità, la mia aggressività, il mio desiderio di annientarlo.
La storia dell’odio fratricida fra Caino e Abele e il mito del tragico destino di Narciso mostrano in modo limpido che la prevalenza della logica speculare, duale, comporta degli elementi mortiferi.
Come uscirne? Possiamo, certamente, trarre esempio da Alice che nello splendido romanzo di Lewis Caroll, Alice attraverso lo specchio, riesce ad andare oltre, ad attraversare lo specchio, giungendo a un mondo nel quale vige un’altra logica: l’inversione del tempo, il capovolgimento dell’ordine stabilito; un mondo popolato da malintesi, polisemie, giochi di parole. In questo mondo, Alice riesce a concedere diritto di cittadinanza a ciò che senso non ha, al non-senso. Impara ad accettare che al di là di lei, esiste un mondo nel quale le cose possono essere viste in un modo altro e che ciò non mette a rischio né la sua identità, né il suo essere.
Ecco, per uscire dal giogo mortifero e asfittico della logica speculare, è necessaria l’accettazione dell’esistenza di un ordine terzo, di un ordine simbolico. Un ordine simbolico che attraverso la Legge stabilisca dei limiti e ponga un freno all’ingordigia narcisistica che caratterizza la nostra contemporaneità.
Per concludere, vorrei paragonare due film di gran bellezza: uno del regista danese Nicolas Winding Refn, Valhalla Rising, e l’altro Il primo Re dell’italiano Matteo Rovere. Ebbene, il film Valhalla Rising, presenta un affresco nel quale spiccano la natura selvaggia e incontaminata e la brutalità primordiale dell’uomo. E’ oltremodo interessante che il protagonista sia muto, non parli e, da questo punto di vista, possiamo paragonarlo all’infans dello Stadio dello specchio che è ancora privo di parola. In Valhalla Rising ci si rimane imprigionati nel mondo speculare e ciò porta solo distruzione e morte.
Nel film Il primo Re, si parte certamente da una violenza senza freni e da un odio fratricida ma si va oltre, si attraversa lo specchio e, attraverso la Legge e l’edificazione dei principi, dei valori e delle istituzioni si creano le fondamenta per l’edificazione di una magnifica civiltà, la civiltà romana.

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