01/11/2016
Le tre parole che cambiarono il mondo
di Fabrizio Gambini
Esiste un complotto a fin di bene? O meglio, può il bene realizzarsi per via di complotto?
Quello di Marc Augé è un piccolo libro interessante: un racconto breve di fantascienza. Come quasi tutti i racconti di fantascienza si svolge nel futuro, ma la dislocazione dell’azione nel futuro è minima. Siamo nel 2017 e il mondo in cui l’azione si svolge è il nostro: quello di oggi. Un complotto ben intenzionato cambia quel mondo, permette a quel mondo di avvicinarsi ad essere quello che potrebbe essere: una Repubblica federale mondiale il cui scopo sarebbe stato quello di debellare la povertà e promuovere la democrazia a livello planetario.
Marc Augé non è Jules Verne e non è Philip Dick, non è insomma uno scrittore di fantascienza, bensì un serissimo etnologo e antropologo che è stato presidente dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales dal 1985 al 1995. Dobbiamo dunque pensare che quando si lascia andare a scrivere un romanzo breve, un divertissement, in cui prospetta l’esito felice per l’umanità di un complotto, sappia di cosa parla: un complotto a fin di bene, un complotto, si potrebbe dire, visto dalla parte del complottatore.
Non è tanto usuale. Quando dalle nostre parti si parla di complotto si pensa alla paranoia, alla irrefrenabile tendenza umana a immaginare, quando non a credere, all’esistenza di complotti. Seguendo questo filo di ragionamento, ovvero il complotto visto dalle vittime del complotto, si può persino affermare che in qualche modo assistiamo a qualcosa che è dell’ordine della paranoicizzazione progressiva del contesto sociale. Si va da come è stato ucciso Kennedy, al fatto che Armstrong non è sbarcato sulla luna, alla CIA dietro alle Torri Gemelle, ai vari Grandi Vecchi, ai Poteri Forti e così via complottando, ovvero immaginando, supponendo una logica dietro il caos delle apparenze.
Per questo il libro di Augé è interessante. Non si tratta di supporre un complotto dietro alla difficile comprensibilità di ciò che accade; piuttosto si tratta di un complotto in atto, riuscito. Un po’ come se a Claus Schenk von Stauffenberg fosse riuscito, il 20 luglio del 1944, di uccidere con una bomba Adolf Hitler. Qui la bomba è un farmaco: un prodotto la cui somministrazione elimina istantaneamente le sensazioni di confusione mentale che sono all’origine di qualunque esperienza cosiddetta religiosa. La lucidità mentale che ne consegue è irreversibile; in altre parole, l’effetto terapeutico è immediato e definitivo.
Come tutte le idee geniali, quella di Marc Augé, ha un fondo di semplicità che però, quando viene analizzata, si moltiplica in un’infinita rete di connessioni, di rimandi e di possibili approfondimenti, cosicché la freschezza e l’apparente semplicità dell’idea si trasforma in un ginepraio per chi tenta di analizzarla.
Se di mestieri non facessimo gli analisti ci sarebbe da godersi il divertissement e le poche ore di sorriso che il libro ci dona. Ma, siccome l’effetto terapeutico col quale si diverte Augé è la scomparsa della nozione dell’esistenza di Dio, viene da chiedersi se questa scomparsa sia, prima ancora che possibile, auspicabile.
Sapete tutti che Freud considerava la religione come una formazione strutturalmente simile alla nevrosi ossessiva. Da questo punto di vista si capisce benissimo la fantasia che un farmaco ci liberi dai fantasmi che offuscano la nostra lucidità di esseri pensanti. Direi che Augé è, da questo punto di vista, abbastanza in buona compagnia. Facendo lo psichiatra oltre che lo psicoanalista, posso testimoniare di persona di un cinquantennio di sforzi fatti dalla psicofarmacologia in questa direzione.
Questo sembrerebbe voler dire che l’effetto terapeutico fantasticato è forse impossibile e, come del resto accade a molta fantascienza, questo impossibile resta quello letterariamente interessante di un’utopia che avrebbe il carattere proprio dell’auspicabilità.
E qui casca l’asino, sul carattere dell’auspicabilità. Bisogna capire bene: quando Freud ci consegna le categorie della nevrosi, della paranoia e dell’isteria non ci consegna tre quadri nosografici, bensì tre modalità di affermazione dell’umano, tre modi dell’uomo di abitare il linguaggio. E non ce n’è un quarto.
In fondo l’idea di Dio assomiglia molto all’idea di un complotto: supporre uno schema, un’intenzionalità, una verità nascosta dietro l’apparenza delle cose. Se non mi sbaglio, ma non credo di sbagliarmi, perdendo questa capacità che, ripeto, è capacità di supporre, il discorso della scienza cadrebbe assieme a quello della religione. Una lucidità totale corrisponde ad una totale imbecillità.
Nel libricino di Augé la Repubblica mondiale è appena nata ed è gravida delle sue potenzialità. Ma i suoi cittadini privati dal farmaco miracoloso della capacità di immaginare a partire dal sintomo che li struttura in quanto soggetti desideranti, trasformeranno quella Repubblica in un deserto mortifero. Leopardi lo sapeva e in quel deserto ha fatto fiorire una ginestra. E, come Leopardi, anche Nietzsche lo sapeva:
Ho scoperto per me che l’antica umanità e animalità, perfino tutto il tempo dei primordi e l’intero passato di ogni essere sensibile, continua dentro di me a meditare, a poetare, ad amare ad odiare, a trarre le sue conclusioni – mi sono destato di colpo in mezzo a questo sogno, ma solo per rendermi cosciente che appunto sto sognando e che devo continuare a sognare se non voglio perire: allo stesso modo in cui il sonnambulo deve continuare a sognare per non piombare a terra. Che cos’è ora, per me “apparenza”!
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