01/08/2016

La trasmissione all'epoca della tv on demand


di Marilena De Luca

Il significante non è la cosa e neppure ne rappresenta il concetto, se con questo termine intendiamo una sorta di estrazione/astrazione dei sensi possibili, dobbiamo accontentarci che sia  una somma di significati. Ed allora non fa specie che epoche e generazioni diverse privilegino alcuni sensi e ne lascino cadere altri, tanto che ci accorgiamo che il lessico che ci è abituale finisce per segnalare la nostra età più della nostra epidermide.
 
La cosa è certo all'origine di incomprensioni e fraintendimenti, talvolta può generare conflitti difficili da sanare, ma accade anche che abbia effetti divertenti che possono farci sorridere e, perché no, pensare a qualcosa che non ci era capitato di notare precedentemente.
 
Ho in mente qualcosa del genere per il significante “trasmissione”, a proposito di un episodio banale: un gruppo di giovani colleghi che accompagno nella lettura di un testo lacaniano mi avverte che la maggioranza di loro è impossibilitata ad essere presente in una delle date concordate. Di per sé nulla di particolare: i motivi di assenza sono pienamente legittimi e giustificabili, la qualità di quanto hanno prodotto finora testimonia di un genuino desiderio. Quello che mi colpisce è l'aspettativa priva di dubbi sulla mia disponibilità alla sostituzione dell'incontro e comunque in una data scelta da loro. Il che mi provoca un divertito stupore perché, in un lampo, mi è venuto da immaginarmi chiamata nel luogo di “una TV on demand”.
 
La nuova generazione ha fruito dell'allattamento a domanda, prima, della “TV on demand”, dopo, ha oggi la possibilità di trovare anche in mezzo ad una strada, con un collegamento ad internet del telefonino, risposte a dubbi che la mia generazione poteva affrontare solo consultando testi a casa o in una biblioteca. E' forse naturale che sia cambiato il rapporto con il vissuto del tempo, che si dia per scontato che tutto o quasi possa avere una risposta immediata e non mediata, cioè modulata nella relazione con l'altro (piccolo).
 
Un'altra considerazione che si può fare riguarda il fatto che usiamo lo stesso significante “trasmissione” sia per il campo dell'eredità del sapere e delle esperienze che per quello delle telecomunicazioni. Nel primo caso quel che si trasmette ha soprattutto a che fare con la parola (pronunciata o scritta) e con l'oggetto voce (anche quando leggiamo sentiamo la voce nostra o immaginata all'autore), la radio ha continuato in questa scia, ma ora la quotidianità porta a che l'immediato attributo di trasmissione sia “televisiva”, qualcosa che guardi e che sembra guardarti, ma quando vuoi tu.
 
Ci si abitua al fatto che il telecomando funziona meglio del rocchetto per fare il gioco del “Fort – Da” e allora al mio stupore per l'aspettativa da parte del gruppo di una mia completa ed immediata disponibilità, segue altrettanto stupore del gruppo per il mio venir meno. Ma poiché la psicoanalisi è una scienza/pratica ecologica alla fine nel gruppo riusciamo a farcene qualcosa anche di questa bagatella.
 
Ci si può ancora chiedere tuttavia se a proposito della “trasmissione” di un po' di sapere non si rischi un'inversione delle posizioni della legge del desiderio, passando dal desiderio che qualcuno trasmetta qualcosa a che qualcuno desideri trasmetterci (il che non toglie che ci debba essere anche desiderio di trasmettere), il che, credo, rischia di mettere il giovane in una posizione di ricezione passiva poco vantaggiosa.

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