01/05/2019

La doppia lettura dell'Orestea


di Fabrizio Gambini

Come tutti i miti, quello di Oreste e dell’intero ciclo dell’Orestea è un mito polisemico, che si apre a diverse letture. Tanto per cominciare tutta la famiglia degli atridi era piuttosto bizzarra: il nonno e lo zio di Oreste si erano prima accordati tra loro e con la mamma per far fuori il fratellastro, poi Atreo, il nonno di Oreste, aveva invitato a cena il fratello e, a sua insaputa, gli aveva servito i figli cucinati a puntino; Agamennone, figlio di Atreo e padre di Oreste, nel tentativo di ingraziarsi gli dei durante la spedizione verso Troia aveva pensato bene di sacrificare la figlia Ifigenia e si capisce che Clitennestra, moglie di Agamennone e madre di Ifigenia e di Oreste, si fosse un po’ risentita. Al punto che aveva iniziato una relazione adulterina con Egisto, figlio di Tieste, il fratello di Atreo, e uccisore dello stesso Atreo, suo zio, che aveva in verità cercato di fargli ammazzare il babbo, ovvero Tieste. È un po’ complicato ma tutto si risolve quando Agamennone torna da Troia e viene ucciso dalla moglie e dall’amante. Infine, a conclusione della saga, Oreste, uccide entrambi per vendicare l’uccisione del padre. Diciamo così: come famiglia naturale non era granché.
Il mito di Oreste si presta comunque a essere letto in molti modi. Uno di questi è femminile, perfino femminista: “La sentenza di Apollo, che tutti gli dèi approveranno all’unanimità, sarà decisiva per il futuro delle donne: Oreste è innocente perché non ha infierito sul principio della vita, ma ha solo colpito il corpo che conteneva e conservava servilmente il seme del padre, l’unico vero generatore della vita” (Dacia Maraini). Si capisce che da qui si possa collocare l’origine di un’esclusione femminile che ha connotato gli ultimi due millenni della nostra storia. Un’altra lettura (psicoanalitica?) privilegia la funzione del padre come agente della temperanza introdotta dal Logos e dalla Legge degli uomini: “Se rispetterete questa istituzione, come merita, disporrete di un baluardo di salvezza per lo stato e la città…” (Eschilo, Eumenidi). Difficile non pensare a due letture contrapposte che ripropongono nel terzo millennio la mancanza di rapporto sessuale che ci fa o uomini o donne.
Queste due letture contrapposte sono ancora perfettamente attuali, anzi sono al centro della nostra attualità caratterizzata dal ritorno del femminile e del materno a scapito dell’evanescenza del registro paterno la cui violenza viene temuta e tenuta alla larga quando non ritorna attraverso il bastone dei sovranismi.
La copertina dell’espresso del 7 aprile 2019 presenta un titolo: “Chi si rivede, destra e sinistra” e prosegue nel sottotitolo: “Da una parte i nazionalisti, i sovranisti, i nostalgici. Dall’altra le donne, i ragazzi, gli ambientalisti. È finita la corsa al centro. E il nuovo conflitto sarà radicale”. All’interno del giornale, l’editoriale di Marco Damilano ha un titolo: “In tutta l’Europa l’ascesa dei sovranisti spinge a una reazione civile, femminile e solidale.”
La comparsa di opere recenti sembra prospettare la tesi di un modo femminile di abitare il linguaggio, un modo che tenterebbe di fare a meno del valore fallico, tagliente e sanzionatorio della parola. Che questa sia una prospettiva e non una rivendicazione è quanto si deve mettere alla prova del nostro discorso.

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