01/10/2015

Figlio del desiderio


di Silvia Novarese

Abbiamo recentemente discusso con alcune colleghe del libro -tradotto in italiano per Feltrinelli. -del sociologo francese M Gauchet, Il figlio del desiderio che offre molti spunti di riflessione per gli psicoanalisti, in particolare per chi si richiama a Lacan.
 
Il figlio del desiderio è il figlio della famiglia attuale, intima, privatizzata, famiglia il cui scopo è diventato lo star bene insieme, a differenza della famiglia tradizionale che era la cellula fondante della società. Non si fa più un figlio per la perpetuazione della società ma per se stessi, per la propria auto-realizzazione e per lui, perché il figlio a venire possa avere dalla vita ogni bene possibile.
 
Il figlio del desiderio oggi non è più il prodotto del desiderio sessuale tout court, con le sue conseguenze, inattese o benvenute a seconda dei casi; il figlio del desiderio oggi è il prodotto di un rapporto sessuale utilizzato come strumento, scientemente.
 
Oggi siamo di fronte da un lato a una sessualità che si potrebbe chiamare ricreativa, a disposizione dei singoli, che ne fanno ciò che vogliono, e poi c'è un uso consapevole della sessualità, seria, che è usata per la riproduzione.
 
Secondo Gauchet, questa dissociazione non è estranea al timore dilagante della pedofilia che ossessiona l'immaginario collettivo oggi.
 
Altra osservazione: essendo ormai la riproduzione sotto il nostro controllo, non riusciamo ad accettare i casi in cui non tutto va come vogliamo.  C'è qualcosa che nonostante il progresso scientifico ci sfugge, ad esempio non nasce il bimbo tanto desiderato. Non riusciamo ad accettare che c'è altro, che non dipende da noi e che il suddetto progresso non eliminerà mai.
 
Chi desidera? Sempre più osserviamo che sono le donne che desiderano un figlio, mentre l'uomo spesso si adegua al desiderio di lei, a differenza di una volta in cui era l'uomo a esprimere il proprio potere attraverso il figlio (si diceva “lui le ha fatto un bambino”).   Oggi la procreazione è sempre più legata al desiderio femminile e una delle conseguenze è l'aumentato potere della donna nella coppia, ove troviamo nella donna spesso congiunto il ruolo del padre e della madre, mentre il padre ha un ruolo ridotto.
 
Ma cosa cambia per il bambino essere il frutto del desiderio, essere stato voluto?
Essere voluto significa essere voluto così come si è, l'ideale è essere accettati per quello che si è, a differenza di una volta in cui la famiglia cercava di adattare il figlio alla società, oggi la famiglia protegge il figlio dalla società.  Questo spiega una dei grandi problemi contemporanei, la relazione conflittuale della famiglia con le istituzioni come la scuola che dovrebbero adattare il bambino alle regole valide per tutti e che la famiglia considera invece come ostili.
 
Altra conseguenza, la famiglia chiede oggi alla società che il proprio figlio sia riconosciuto nella sua singolarità, nella sua eccezionalità, il che contrasta con la democrazia che riconosce al singolo dignità ma nella impersonalità di ognuno, nella democrazia siamo tutti uguali.
 
Poiché il figlio è desiderato per i genitori ma anche per sé stesso, assistiamo a un interessante dilemma nell'educazione, a una tensione tra autonomia e iperprotezione. I genitori dovrebbero far di tutto per far accedere il bambino alla autonomia, e nello stesso tempo proteggerlo contro una società cattiva, ingiusta, pericolosa... da cui spesso deriva quella tensione tra iperprotezionismo e astensione, che caratterizza le difficoltà educative dei genitori oggi.
 
 Da parte del bambino, cosa significa essere stato desiderato? Significa porsi a livello inconscio la domanda “Sono stato veramente desiderato?” o ancora “Corrispondo davvero al desiderio dei miei genitori?” che hanno in parte sostituito il vecchio fantasma “Sono davvero il figlio dei miei genitori?” del tempo di Freud.
 
 
Questo ci porta al seguente punto: come diventiamo davvero individui nella nostra singolarità? Diventiamo individui con una operazione psicoaffettiva, assumendo cioè la contingenza che presiede alla nostra esistenza. Esistere, vuol dire da un lato non aver scelto di esistere ma dall'altro prendere in carico questa contingenza. Ecco un interessante limite all'individualismo: non ho scelto di esistere, non ho scelto le circostanze della mia vita ma prendo su di me la responsabilità di fare con ciò che sono.
 
Nel bambino del desiderio questo intreccio tra contingenza e assunzione di responsabilità è reso problematico dal fatto di essere stato desiderato per quello che si è, per come si è.  Difficile quindi entrare in possesso della propria individuazione quando, come capita al bambino oggi, si è troppo precocemente riconosciuti nella propria individualità singolare, che in realtà esiste solo nell'immaginario.
 
Per finire vorremmo sottolineare il punto che essere stati desiderati, come capita oggi, rende il legame coi genitori molto più stretto ma anche più difficile da superare. Fino a non molto tempo fa l'atto della procreazione era un atto di integrazione nella storia della propria gente e una sottomissione alla legge:  il bambino era  il frutto di una discendenza, un anello in una catena generazionale e questo rendeva il rapporto coi genitori più elastico in quanto introduceva tra le generazioni la legge, un Terzo, mentre oggi il rapporto è diventato esclusivo , duale tra il bambino e i suoi genitori .

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