01/07/2016

“The Hateful Eight” ovvero cronache di paranoia ordinarie


di Marilena De Luca

E' una data presa a caso, ma i titoli del giorno, presi tutti assieme, possono dare l'idea di come, nel villaggio globale , l'informazione intorno al “male” che avviene nel mondo intero finisca per invadere quello che consideriamo il nostro piccolo, prezioso spazio privato ingenerando insicurezze, ansie e paure sostenute da un'implementazione delle percentuali del male basata sulle “statistiche intuitive” a cui ci espone il nostro immaginario.  Tuttavia, bisogna pur dire che  il “male”, magari non statisticamente aumentato, certamente non ha smesso di esistere nella sua banalità quotidiana, che fa a meno delle fantasmagorie dell'ISIS.

Il problema è che non ci è più consentito vivere tranquilli, venendo  a sapere solo quel che accade ogni 10, 20, 30 anni in una delle porte accanto del proprio villaggio, l'intero globo diventa la porta del vicino. La condensazione dello spazio si accompagna a  quella del tempo: tutto avviene vicino e contemporaneamente, il che ci spaventa, ci fa “effetto”, nel senso introdotto da F. Gambini nel suo magistrale testo sui disturbi dell'umore[1]. Un effetto che è avvertito come sommovimento interno, ma che spinge a muoversi rispetto all'esterno. Come ogni animale avvertendo i correlati fisiologici che associamo, a torto o ragione, ad una minaccia reagiamo con un movimento: fuggire attaccare, nascondersi. E per noi umani entrare in movimento significa talora anche entrare in “movimenti”, possibilmente quelli che propongono risposte semplici e rassicuranti.
Dicevamo: fuggire? dove? Se tutto il mondo è percepito come pericoloso. Attaccare? chi? Nella contemporaneità  dominata dall'indifferenziazione anche il nemico è vago ed indifferenziato,  nessuno o chiunque, in pratica tutti quelli che in qualche modo possono essere apparentati per qualche differenza da sé.
A questo proposito, mi ha stupito la comunicazione personale fattami dal padre di una famiglia di conoscenti di etnia cinese. Tutti i componenti della famiglia sono di seconda generazione e nati in Italia, non sanno parlare né comprendere il cinese, ma stanno pensando di andare ( non tornare, in quanto non ci sono mai stati) in Cina perché da qualche tempo adulti e ragazzi della comunità vengono pesantemente attaccati, per ora a parole, in quanto “extracomunitari”, cosa mai avvenuta prima.
Nell'impossibilità di attaccare o fuggire, non rimane che ripararsi, nascondersi, chiudersi a riccio, perché no? dietro un muro. Così i sostenitori di Donald Trump urlano “wall, wall” e alcuni governi europei li costruiscono. The Hateful Eight, l'ultimo film di Tarantino e forse il più teatrale e “parlato” dei suoi lavori, appare come una straordinaria rappresentazione della strutturale tendenza alla paranoicizzazione  del modo di rapportarsi tra gli umani. Il dramma si svolge nel claustrofobico ambiente dello stanzone di una stazione di posta in cui trova rifugio dalla furia della tempesta esterna una varia umanità che testimonia bene di alcuni dei pretesti possibili agli umani per contrapporsi: il nord ed il sud, il bianco ed il nero, ma anche il porsi “fuori dalla legge” o “dentro “, ma in una modalità sadica e crudele...un Cristo misericordioso è semi-seppellito dalla neve in un'immagine iniziale.
 
In breve il presunto rifugio dall'incombente morte per tutti, minacciata dalla natura esterna si trasforma, a sua volta, in luogo di violenza e morte. Facile leggere il film come un'ulteriore dimostrazione della vocazione al trash di Tarantino, tuttavia, se proviamo ad andare più in là ci accorgiamo che la sceneggiatura ci indica un altrove a cui rivolgersi...sono le parole della lettera attribuita a Lincoln, ad accomunare e forse ad assicurare la vita, a due dei personaggi, certo anch'essi a loro modo “canaglie” e feriti, ma non a caso un bianco ed un nero, un bianco sudista rinnegato ed un nordista nero, cacciatore di taglie . Non importa che l'attribuzione della lettera sia falsa e neppure che, ad un certo punto, ciò sia confessato...il fantasma di Lincoln funziona da terzo e quelle parole suonano comunque vere chiunque le pronunci e hanno dunque il potere di infrangere muri ed accomunare. Non c'è happy end. A testimonianza di una nazione e, perché no, di un mondo perennemente indeciso tra opzione morale  e violenza brutale, alla scena di riconciliazione fa da contrappunto una raccapricciante impiccagione.
 
Marilena De Luca
Torino 18.06.2016

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[1]     Fabrizio Gambini “L'ora del falso sentire”
 


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