01/12/2016
Cortigiani, vil razza dannata
di Fabrizio Gambini
Quella che da più parti viene descritta come una crisi della politica, come una crisi della rappresentanza, è, mi pare, piuttosto indagabile come una crisi delle egemonie; a partire dal fatto che c’è, o che appare esserci, qualcosa di insopportabile nell’esercizio dell’egemonia o, meglio, nel riconoscimento pubblico dell’esercizio di ogni egemonia.
Qualcosa di simile lo abbiamo conosciuto in Europa negli anni che hanno preceduto la Prima Guerra Mondiale, quando tutto un mondo è sprofondato in quel baratro; un mondo che è passato dalla Belle Époque, dai regni e dagli imperi (Ottomano, di Russia, Austria e Ungheria, Prussia, Francia, Inghilterra e Italia) alla Grande Guerra, ai Totalitarismi e poi alla seconda grande guerra.
La situazione di oggi ha qualche tratto che ricorda la crisi di quelle egemonie, con una differenza importante: che il fattore egemonico non è la nascita o il censo, bensì l’esistenza in quanto personaggio televisivo.
Tutta la compagine di coloro che frequentano le nostre case sotto la forma di personaggi che abitano l’acquario televisivo fanno parte, per questa sola ragione, dell’élite alla quale si attribuisce un insopportato potere egemonico.
Da questo punto di vista leader politici, personaggi dello spettacolo, del giornalismo televisivo e dello sport sono tutti, prima di tutto, accomunati dall’essere abitanti dell’acquario televisivo, parte di un mondo, di una nuova élite alla quale, una volta spenta la TV, si suppone anche, e soprattutto, l’accesso a un godimento continuo e infinito. Accesso precluso invece ai mortali, ai fuori casta, all’universo pur variegato degli spettatori.
Come succede a ogni corte, anche i personaggi della immaginaria Corte Televisiva producono e mantengono i loro buffoni. Non è difficile identificare il Rigoletto o i Rigoletti di turno che si trovano a incarnare la funzione del giullare, del Fool shakespeariano: mischiano scompostamente verità e menzogna, mentono per affermare la loro verità e sono sinceri nel dar voce alle proprie opinioni, anche se, come quasi sempre succede, queste sono in contraddizione tra loro.
L’Oxford Dictionary ha eletto parola dell’anno “post truth”, ovvero il fatto che la gente, il pubblico televisivo, è più influenzata dall’emozione suscitata da quanto le viene detto che dalla realtà. La gente, insomma, è influenzata da una realtà seconda che è quella dell’acquario e che è letteralmente indistinguibile da quella che eravamo abituati a pensare come unica: la realtà, appunto. Il fatto che si tratti di una realtà seconda implica la perdita della relazione di quella realtà col mondo dei fatti che diventano prima di tutto fatti televisivi o diffusi via Facebook, fatti che sono fatti per il solo fatto di esistere nell’acquario.
Nella corte televisiva il buffone, come avveniva nelle corti che frequentava un tempo, irride il gioco senza svelarlo del tutto e senza metterlo del tutto in discussione, lo svela al riparo dell’unicità e eccentricità della propria posizione e, come avveniva per Rigoletto alla Corte del Duca di Mantova, riceve ingiurie e applausi che hanno la caratteristica comune di non cambiare il gioco.
Non è difficile fare i nomi dei buffoni che popolano i nostri casalinghi acquari televisivi e la loro funzione travalica le frontiere nazionali per ritrovarsi, in fondo uguale a se stessa, in tutto l’occidente mediatizzato.
I poveri spettatori, la gente, applaude alla funzione del buffone facendo lievitare l’indice di gradimento delle sue apparizioni e, talvolta, concretizzando il proprio plauso con l’esercizio del diritto di voto. Anche questo è un effetto della democrazia.
Naturalmente quel che succede è che ogni buffone eletto nella posizione riconosciuta del cortigiano, ogni buffone che si trova cioè a essere Duca, si trova per questo stesso fatto, a essere trasformato in Masaniello: l’investitura resite fino al successivo buffone dal cui indice di gradimento venga detronato.
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